Alcuni spunti dopo La Giornata del Traduttore

Il 20 ottobre ho partecipato al convegno La Giornata del Traduttore nella splendida Pisa. Una delle cose più belle che ho portato a casa è la gioia di aver conosciuto di persona traduttori e traduttrici con cui ho interagito virtualmente in questi anni. Perché confrontarsi e relazionarsi dal vivo è un’esperienza di altro livello.

La giornata di formazione è stata stimolante anche dal punto di vista dei contenuti. Il tema di questa edizione: “Riscrivere il futuro: traduzione e scrittura specialistica nelle professionalità emergenti”. Il convegno ha sottolineato l’importanza del traduttore professionista nella scrittura di testi specialistici, che vengono adattati a un contesto culturale, a un mezzo specifico o una nicchia di lettori.

Oltre agli interventi dedicati alle reti neurali artificiali, ai colori che racchiudono mille significati e alle traduzioni ottimizzate in ottica SEO grazie a un lavoro oculato sui motori di ricerca, il convegno ha dedicato ampio spazio alla traduzione e all’editing di testi giornalistici con Alberto Notarbartolo, Vicedirettore di Internazionale.

A differenza del linguaggio pomposo e retorico molto diffuso, quest’ultimo consiglia di prediligere termini semplici, il che non significa appiattire il testo, bensì evitare di dare per scontato che il lettore sappia di cosa stiamo parlando.

Basta ammiccamenti al lettore

Apro una parentesi su una tendenza ormai diffusa un po’ ovunque, dalle testate giornalistiche ai contenuti di blog e articoli di settore. Si utilizza spesso un tono molto amichevole, sfoderando per forza un tocco di ironia.

Ma gli ammiccamenti al lettore, l’ironia forzata e i testi scritti in modo irriverente non vanno bene per tutti. Dipende dal lettore (ad esempio, è un sessantenne o un millennial?), dal mezzo, dal settore e da tanti altri fattori che influenzano la scelta del tono di voce e dello stile.

Niente spiegoni, ma occorre chiarezza

gdtradInoltre l’approccio consigliato è utile anche nel lavoro di un professionista. Non è detto che un potenziale cliente che cerca un traduttore professionista sappia cosa sia la transcreation, invece può essere proprio il servizio che sta cercando.

A proposito: la transcreation è la traduzione creativa di un testo adattato alla cultura locale, per trasmettere il concetto in un contesto socio-culturale diverso conservando la forza e l’impatto emotivo del messaggio originale. La transcreation riguarda ad esempio gli slogan ed è utilizzata nelle campagne pubblicitarie.

Oppure pensa ai termini tecnici utilizzati in ambito fiscale. Il tuo commercialista è chiaro quando comunica con te oppure ti perdi nel suo linguaggio tecnico?

Il dentista, l’avvocato… insomma, i professionisti che non interagiscono con i colleghi, bensì con i clienti, devono utilizzare un linguaggio chiaro e preciso. (Hai fatto caso al verbo che hai appena letto? Ho scritto “interagiscono” e non “interfacciano”, un verbo che riempie la bocca di molti ma che significa semplicemente “comunicare”).

Quindi è meglio evitare termini ambigui, anglicismi inutili o peggio, l’inglese farlocco, e puntare alla chiarezza e alla precisione.

Del resto il fine della comunicazione è lo scambio tra più interlocutori, orale o per iscritto: non è un monologo, bensì un processo interattivo.

Che ne pensi?

 (Credits: La foto in apertura è di Angela Stelli)

Perché affidarsi allo stesso traduttore professionista

Quando collabori con un traduttore professionista per la prima volta, crei una relazione di fiducia reciproca.

Il preventivo, il lavoro consegnato con puntualità, la fattura e il pagamento sono soltanto quattro passaggi che fanno parte di un rapporto più articolato e stimolante sia per il fornitore che per il cliente.

Se vuoi internazionalizzare la tua attività, sai che parte del lavoro consiste nel presentare una versione multilingue del materiale promozionale della tua azienda:

  • il sito web aziendale
  • le descrizioni prodotto
  • i cataloghi
  • i contenuti dei social
  • la newsletter

Il tuo obiettivo è promuovere la tua attività, i tuoi prodotti e/o servizi anche all’estero?

Il traduttore professionista ti aiuterà in questa impresa. Dovresti rivolgerti a un traduttore specializzato nel settore del marketing, visto che i traduttori professionisti non sono tuttologi, bensì si specializzano in determinati settori.

Dopo il briefing iniziale, un altro passaggio da non trascurare è l’invio di materiale di riferimento, come i glossari e la guida di stile. Se li hai a disposizione, è fondamentale inviarli al traduttore, che seguirà le istruzioni per garantire la coerenza stilistica e terminologica dei tuoi contenuti.

Alla fine del lavoro, il cliente soddisfatto tende ad affidarsi nuovamente allo stesso traduttore professionista per altri incarichi.

Potresti essere tentato a scegliere un fornitore che applica tariffe più basse, ma in questo modo correresti diversi rischi. Ad esempio, dovresti ricominciare il processo di ricerca dall’inizio, dalla richiesta di preventivo all’invio del materiale di riferimento, allungando le tempistiche (che, confessa, sono sempre molto ridotte).

Oltre alla qualità della traduzione, ricorda altri fattori. Il traduttore a cui ti affidi:

  • diventa la voce del tuo brand. E non puoi cambiare voce in continuazione, andando a scapito dell’uniformità di stile dei tuoi contenuti;
  • assicura la coerenza della terminologia utilizzata da un incarico all’altro;
  • acquisisce una familiarità crescente con i tuoi contenuti, i tuoi prodotti e la tua azienda.

Lavoro come traduttrice freelance dal 2014 e, collaborando con alcuni clienti ormai da anni, è inevitabile provare empatia nei confronti dello sviluppo della loro attività: i traguardi raggiunti, la crescita all’estero, i successi da loro ottenuti mi gratificano, perché ho dato il mio contributo e li aiuto a raggiungere i risultati che desiderano per l’espansione della loro attività.

Si tratta di un rapporto vincente: grazie al traduttore professionista, raggiungi nuovi mercati, contatti un numero maggiore di utenti, aumenti il numero di clienti e le vendite dei tuoi prodotti all’estero.

Quando si collabora, i successi intellettuali di una persona stimolano la passione e l’entusiasmo degli altri collaboratori.

Alexander Von Humboldt

Riflessioni sul primo Freelancecamp Lecce

Il 28 giugno 2018 a Lecce c’è stata la prima edizione al sud del Freelancecamp.

Il primo Freelancecamp nella mia Puglia ha decisamente soddisfatto le aspettative.
In questa giornata entusiasmante ho conosciuto belle persone e avuto il piacere di conoscere dal vivo chi seguivo online già da tempo.

Puoi vedere i video di tutti gli interventi sul sito del Freelancecamp e le bellissime foto ufficiali di Anna Agrusti e Joana Ferreira.

Tra sorrisi, riflessioni, dibattito, pause yoga e scambi stimolanti, come sempre c’è tanto da imparare da ognuno. Perché se i liberi professionisti si distinguono per le competenze, l’esperienza, le attitudini, i limiti e le qualità, ognuno può migliorare grazie alla condivisione delle esperienze dell’altro.

Come ha detto Gianluca Diegoli nel suo intervento, una delle cose da ricordare sempre è: non sottovalutare il tempo. Dato che il tempo è la risorsa più preziosa che abbiamo, dobbiamo anche fare attenzione ai perditempo, che possono essere clienti, collaboratori o fornitori che minacciano la nostra produttività.

Un valido aiuto arriva dall’organizzazione che, come ha mostrato Chiara Battaglioni, è uno strumento che regala libertà: alleggerire la mente stilando liste anti-ansia aiuta a lavorare meglio e a evitare di correre come pazzi, ad esempio grazie alla lista “ta-daaan” in cui mettere nero su bianco i traguardi raggiunti.

Nel suo intervento, Rossana Turi ha illustrato cosa ha imparato lavorando con suo marito e il suo cane. Mi sono immedesimata nella parte dedicata al compagno a quattro zampe, visto che da quando c’è Sheila sento che la qualità della mia vita è migliorata.

Il cane ha le sue esigenze, tra cui lo spazio, i bisogni, il gioco e il movimento. E quando un cane entra nella tua vita, impari a gestire meglio il tempo perché sai che dovrai dedicarne tanto anche a lui. Tra le passeggiate e le scampagnate insieme a Sheila ho imparato, proprio come Rossana, a passare più tempo all’aria aperta, a riposare meglio, a fare più movimento e a cercare sempre un motivo per sorridere: se sei stressato, stanco, depresso, arrabbiato, il cane è lì e non ti giudica, ti fa rilassare, giocare e sorridere. Ti fa stare bene.

Sono tornata a casa con la convinzione che il Freelancecamp non sia un evento destinato soltanto ai freelance. È importante confrontarsi anche con imprenditori e dipendenti in eventi di questo tipo perché, anche se lavora in autonomia, il freelance non è quello che se la canta e se la suona: è un professionista che esiste perché sa risolvere un problema. Il problema del cliente.

Pertanto il rapporto col cliente va curato, le strategie per migliorare devono essere misurate e il freelance non deve mai smettere di sperimentare.

C’è una cosa a cui porre fine? Sì, il lamento. Infatti Alessandra Farabegoli ce lo ricorda sempre: dobbiamo trovare soluzioni e condividerle, smettere di lamentarci e decidere di cambiare. Insomma, #bastalagne.

Evitiamo di sprecare tempo ed energie a lamentarci. Impariamo a negoziare meglio e ricordiamo che dobbiamo essere noi i primi a migliorare la nostra percezione agli occhi dei non addetti ai lavori.

Proprio perché freelance, siamo responsabili della scelta che abbiamo fatto.

freelancecamp-lecce-freelance

Foto di Joana Ferreira

4 anni di Partita Iva

Ho aperto la Partita Iva un pomeriggio di quattro anni fa. Mentre andavo allo studio del commercialista, le strade erano deserte perché tutti stavano guardando una partita dell’Italia ai Mondiali.

Quattro anni dopo, mi guardo alle spalle e vedo la strada che ho percorso: salite, spesso molto ripide, discese, tratti pianeggianti, altri irti di ostacoli. Punti in cui sono inciampata, sono caduta e mi sono rialzata. Vedo le mie impronte a volte esitanti e poi sempre più decise nel seguire la direzione scelta con consapevolezza.

Il mio percorso è probabilmente simile a quello di altri freelance, ma in realtà ognuno si distingue in qualcosa: gli errori, le scelte, gli incontri, le delusioni, i traguardi, la paura, la determinazione, il coraggio.

La parola chiave? Perseveranza.

Le cose sono cambiate molto in quattro anni di libera professione. E sono cambiata io.

In questi anni di lavoro come traduttrice freelance ho imparato tanto.

L’entusiasmo iniziale era sempre accompagnato dalla paura. Di non farcela, di non riuscire a pagare le tasse (soprattutto quando arriva la mazzata del secondo anno di libera professione), di deludere me stessa e gli altri.

Il segreto? Rimboccarsi le maniche, fare, agire. Sempre.

Anche nei periodi di magra, quando non arrivano richieste dai committenti, né le risposte di potenziali clienti, i giorni passano e sembra di non concludere nulla.

Ma ho imparato che c’è sempre qualcosa da fare. Aggiornare il curriculum, contattare potenziali clienti, seguire attività di formazione professionale, curare la comunicazione online con post sul blog e l’aggiornamento dei profili. E poi vedere gente, stringere mani e darsi sempre da fare.

Nei primi mesi di lavoro come freelance ho fatto qualche esperienza di interpretariato per aumentare il fatturato o riempire periodi vuoti. Sono state esperienze stimolanti che mi hanno arricchito come persona e come professionista, ma ho sempre saputo che la mia strada era una soltanto: la traduzione.

E quando i clienti sono aumentati, l’entusiasmo e la passione mi inducevano a dire di sì alla traduzione urgente che richiedeva orari di lavoro improponibili, tarda sera e fine settimana compresi, a progetti che non mi entusiasmavano ma che mi aiutavano ad aumentare il fatturato, a collaborazioni con il committente che non tiene conto del ritmo di lavoro del freelance e pensa che sia disponibile in qualsiasi momento, anche se gli manda una richiesta alle 22:00.

Poi ho finalmente capito che un ritmo di vita di questo tipo non è sostenibile. Né per me né per chi mi è accanto. Così ho iniziato a dire i primi no e, sorpresa! Il mondo non è crollato.

Ho imparato a rifiutare progetti che non sono nelle mie corde, lavori non compatibili con i tempi di consegna delle altre traduzioni, visto che la giornata è di 24 ore ma non significa che bisogna lavorare 24 ore al giorno.

Ho detto di no a condizioni di collaborazione che non mi soddisfacevano e ho acquisito una maggiore sicurezza anche in situazioni spiacevoli che possono capitare.

Se un cliente ritardava il pagamento della fattura, all’inizio mi sentivo in imbarazzo nel sollecitarlo. Ma poi ho capito che non c’è niente di imbarazzante nel chiedere ciò che ti è dovuto. Se ho svolto un ottimo lavoro nelle condizioni stabilite e consegnato la traduzione nei tempi concordati, il cliente è tenuto a pagarmi nei tempi pattuiti, giusto?

Può sembrare una domanda sciocca, ma è importante ricordare che il freelance non lavora né per passione né per hobby. Non lavora per arrotondare, ma per fatturare. E che non sono i like e i follower a indicare che un’attività sta funzionando. È il fatturato. O meglio, il fatturato che cresce.

Grazie al fatturato in crescita, ho imparato a fare i giusti investimenti, come l’acquisto di SDL Trados Studio che è imprescindibile per un traduttore freelance.

E soprattutto ho imparato a dare il giusto valore alla risorsa più preziosa del freelance: il tempo.

Tempo da dedicare alla parte produttiva vera e propria, ossia la traduzione, ma anche alla contabilità, al personal branding, alla formazione, al networking.

E il tempo per sé. Staccare per andare a passeggiare con la cagnolina, per bere un caffè con un’amica, per partire per Roma e trascorrere tempo prezioso con la sorella gemella. Programmare un viaggio, una serata a teatro, leggere, andare al cinema.

Insomma, trovare l’equilibrio. Ci vogliono anni, ma è possibile. Continuando ad avere ambizioni, a fissare obiettivi e a lavorare sodo per raggiungerli. Continuando a crescere.

Perché non ci sarà mai un giorno in cui sentirò di “essere arrivata”. La parola successo è effimera. Perché anche se la mia attività è cresciuta molto, ciò che conta davvero è l’impegno, il sudore, la costanza, l’autodisciplina e il movimento verso la direzione scelta.

La strada continua.

Quando sì significa no e potenziali disastri

Vorrei spiegarti una cosa che potrebbe sembrare paradossale ai tuoi occhi e che forse ti lascerà di stucco.
E per farlo ti racconto una breve storia.

Un docente di grafica sta tenendo una lezione in accademia a un ridotto numero di studenti, alcuni dei quali sono stranieri. Tra questi, c’è una studentessa cinese.

Il docente vuole assicurarsi che ognuno di loro abbia compreso i passaggi da eseguire, così si rivolge in privato al singolo studente e gli chiede: “Hai capito?”. La ragazza cinese risponde di sì. Ma quando esegue il compito assegnato, commette una serie di errori che dimostrano che non ha capito la spiegazione.

Allora perché aveva risposto affermativamente?

Stile diretto o indiretto

Lo stile della comunicazione può essere:
– diretto ed esplicito
– indiretto e implicito.

Le culture asiatiche hanno una maggiore tolleranza nei confronti dell’ambiguità. Per loro i giri di parole e il contesto sono molto importanti e occorre leggere tra le righe per interpretare correttamente una frase.

Lo stile diretto ed esplicito è invece tipico delle culture occidentali e mediterranee.

Queste differenze di stile si riflettono anche quando poniamo una domanda.

Posso farti una domanda?

Esistono diversi tipi di domanda, come le domande chiuse, ossia quelle a cui rispondere “sì” o “no” e che non richiedono una risposta articolata.

Per un cinese o un indiano, rispondere negativamente significa mancare di rispetto al proprio interlocutore o mettere in discussione la sua autorità.

Dato che è importante salvare la faccia, tendono a rispondere di sì anche se in cuor loro pensano l’opposto. Non è un atteggiamento servile o da yes man, bensì finalizzato a mantenere l’armonia e a non perdere la faccia.

Chi tace acconsente?

No!

Questo punto di visita è tipico degli italiani.

L’italiano esprime chiaramente il dissenso. L’affermazione del disaccordo è tipica delle culture mediterranee, mentre ad esempio gli inglesi tendono a sfumare il dissenso: hai presente quando la loro risposta inizia con “Yes…” e poi continuano con “but…”?

Fanno così perché prima sottolineano ciò su cui concordano e poi continuano la frase esprimendo ciò su cui non sono d’accordo.

Se l’altro non manifesta apertamente il proprio dissenso, non bisogna dare per scontato che sia d’accordo con te. Questa chiave di lettura è tipicamente italiana e non contraddistingue tutte le culture.

Morale:
La ragazza non aveva capito la spiegazione del docente. Ma aveva risposto di sì non perché è ottusa o bugiarda, ma per non mancare di rispetto.

Per alcune culture la risposta affermativa è una forma di riguardo ed educazione nei confronti dell’interlocutore.

Cosa fare in questi casi?

Se interagisci con qualcuno di una cultura che predilige uno stile indiretto e implicito, evita le domande chiuse. Cerca di ottenere una risposta realistica che faccia sentire l’altro a suo agio.

Sì, ci vuole un po’ di creatività. Ma del resto la comunicazione è un atto creativo. 🙂

Desideri un preventivo per una traduzione? Ecco qualche dritta

In questi anni di lavoro come traduttrice freelance, ho ricevuto richieste di traduzione di tutti i tipi. Persino da una lingua di lavoro che non mi compete, ossia il tedesco.

Infatti, malgrado le informazioni disponibili sul sito web del singolo traduttore freelance, talvolta il potenziale cliente (che ha sempre fretta), sorvola su alcuni dettagli che comportano tempistiche più lunghe anche solo per inviare un preventivo, perché il traduttore ovviamente chiede ulteriori dettagli per elaborare una stima su misura.

Il motivo?
La richiesta di traduzione fin troppo generica.

Ti faccio un esempio.

Ho bisogno di un preventivo per una traduzione piuttosto urgente di 20 pagine. Mi potrebbe dire tempi e costo?

Nella richiesta c’è qualcosa che non va: mancano le informazioni fondamentali.

Le combinazioni linguistiche

In quale lingua è scritto il testo da tradurre?
Io lavoro dall’inglese e dal francese all’italiano, quindi non accetto richieste dallo spagnolo o dal tedesco, ad esempio. Al massimo potrei suggerire alcuni colleghi traduttori che lavorano con altre combinazioni linguistiche.

Invia il file da tradurre in allegato

Questo elemento è trascurato spesso, ma è un fattore fondamentale. Se non mi dici qual è l’argomento della traduzione, come posso aiutarti? Idealmente dovrebbe rientrare nelle mie specializzazioni e, se hai contattato proprio me, significa che sai di quali si tratta.

Inoltre è necessario inviare il testo da tradurre al traduttore freelance affinché possa proporti un preventivo come si deve, che include il calcolo delle parole (o delle cartelle) da tradurre e la tariffa applicata, che dipende dalla complessità del testo, nonché dalla lunghezza, dal formato del file di partenza e da un altro elemento essenziale. Cioè…

La data di consegna

“Urgente” è una parola ricorrente nelle richieste di traduzioni. Ma è talmente ricca di sfumature che potrebbe significare: per oggi, per domani, per ieri, entro la settimana, per l’inizio della prossima settimana, ecc.

Se nella tua richiesta specifichi la data in cui vorresti ricevere la traduzione, semplifichi la vita del traduttore. E la tua. Perché il traduttore potrà presentarti un preventivo su misura rispettando i tempi richiesti.

Insomma, noi traduttori freelance abbiamo molte competenze, ma purtroppo non sappiamo leggere nel pensiero.

Quindi se hai bisogno di una traduzione, tieni a mente questi elementi che non devono mancare nella tua richiesta di preventivo ed eviterai perdite di tempo… soprattutto per te. 😉

Il francese, una storia d’amore

Il 20 marzo si celebra la Giornata Internazionale della Francofonia, che mira a valorizzare la cultura francofona e la lingua francese nel mondo.

Ti segnalo giusto un paio di dati significativi:

  • Il francese è la quinta lingua più parlata del mondo
  • Nel mondo ci sono 274 milioni di francofoni

Ma patrie, c’est la langue française.
Albert Camus

Insieme all’inglese (e ovviamente all’italiano, la mia lingua madre), il francese è la mia lingua di lavoro. Ed è una lingua che amo profondamente alla pari dell’inglese.

Tra marketing, turismo e moda, ogni giorno leggo, analizzo e traduco testi nella mia madrelingua per clienti che, guarda caso, sono per la maggior parte francesi.

Spesso noto un certo pregiudizio nei confronti di questa lingua e cultura da parte di chi mi circonda: il francese non piace a tutti, c’è chi lo ritiene simile all’italiano ma in verità troppo difficile da capire, chi rimane bloccato nella grammatica complessa, chi mastica il francese scolastico e chi preferisce trincerarsi nel cliché “i francesi sono snob”.

Quante volte si parla male dei parigini che non sono disponibili nei confronti dei forestieri? Ecco l’immagine diffusa: il forestiero chiede informazioni e il francese finge di non capire o si rifiuta di parlare inglese. Detesto questo stereotipo perché è tipico di noi italiani che dovremmo essere gli ultimi a tacciare i francesi di arroganza, visto il pessimo livello generale nelle lingue straniere.

Del resto, un forestiero che chiede informazioni a un romano non si trova generalmente di fronte a barriere linguistiche insormontabili? Quanti saprebbero rispondergli in inglese e non in italiano?

Insomma, questo atteggiamento superficiale mi fa pensare all’ostilità calcistica Italia-Francia. Essendo adulti, potremmo avere una maggiore apertura mentale, non credi? 🙂

Dopo essermi tolta questo sassolino dalla scarpa, vorrei raccontarti la mia storia d’amore con la lingua francese.

Tutto è cominciato a scuola, quando lo studio del francese alle elementari è stato il mio primo approccio con le lingue straniere. Ero la bambina che si applicava con maggiore entusiasmo nei confronti di questa lingua, di cui adoravo il suono, la pronuncia, la magia delle parole che non capivo e che poi assumevano un significato. Una caccia al tesoro, una caccia al senso e una ricerca linguistica che un giorno sarebbero diventate il mio pane quotidiano.

La scuola media è stata l’occasione di scoprire l’inglese, che ho affiancato al francese anche al liceo linguistico e all’università.

Mi piaceva andare oltre ciò che imparavo nelle cinque ore di frequenza e così le gite scolastiche, le certificazioni linguistiche e i soggiorni all’estero sono stati l’occasione di toccare con mano la lingua vera, quella che esiste oltre i testi scolastici: gli insegnanti madrelingua, i parigini, i monumenti, i negozi, i musei, i viaggi. Un universo così vivido che mi ha fatto perdere la testa per la musicalità della lingua, l’eloquio rapido e la raffinatezza che mi ispira il francese.

Mi sono innamorata della cultura francese anche con la letteratura. Uno dei primi approcci è stato Notre-Dame de Paris di Victor Hugo e lo splendido musical che ha rapito il mio immaginario da ragazzina quando, oltre alla versione italiana di Riccardo Cocciante, ho perso la testa per la versione originale in francese.

A 18 anni ho avuto una vera e propria folgorazione per Albert Camus, che ancora oggi è il mio scrittore preferito, su cui ho poi basato la tesi di laurea in Mediazione Linguistica.

E negli anni in cui ho scoperto il cinema francese, ho cementato il mio amore per questa lingua e cultura all’università: traduzioni, potenziamento della grammatica, terminologia specialistica, storia della lingua e letteratura francese e una splendida docente francese che mi ha trasmesso un’etica professionale inestimabile.

Oggi mi ritengo privilegiata nel lavorare con il francese e con clienti che sono fieri della loro lingua. Pensa che i francesi traducono tutto, francesizzano praticamente ogni termine straniero. Invece noi abbiamo un tale servilismo nei confronti dell’inglese da introdurre anglicismi e inglese maccheronico quando parliamo e scriviamo.

Insomma, sarebbe meglio scendere dal piedistallo con cui si giudicano i francesi per la loro altezzosità o distacco. Il metro di misura? La socievolezza e l’espansività sono tipici della nostra cultura, ma il comune denominatore tra le due culture è il rispetto. Che per i nostri cugini è una certa riservatezza e cortesia manifesti in quel “vous” ampiamente diffuso, a differenza del nostro darci del tu con maggiore frequenza.

Paese che vai… 😉

Sage est le juge qui écoute et tard juge
(Saggio è il giudice che ascolta e tardi giudica)

Il traduttore freelance è solitario o solidale?

Il traduttore è il professionista solitario per eccellenza oppure è votato alla condivisione con gli altri?

Provo a dare una risposta con una metafora tratta dal mio adorato Albert Camus il cui pensiero è articolato nell’apparente opposizione tra solitaire e solidaire, due concetti che in realtà si completano sottolineando il ruolo del singolo nella comunità.

Il traduttore è un essere invisibile, spesso considerato come una figura appartata e riservata nella solitudine della sua attività.

Ma è davvero così?
Può sembrare un’immagine romantica, ma analizziamola meglio.

Il traduttore freelance lavora da remoto, in genere da casa.

Come libero professionista, è un lavoratore indipendente che si occupa di progetti commissionati da diversi clienti.

Può essere una professione piuttosto solitaria, soprattutto secondo l’immagine diffusa del lavoratore solo soletto nel suo studio che macina parole al computer. È sempre sotto consegna, ha poche interazioni nel corso della giornata in virtù dell’assenza dei colleghi dei tradizionali lavori d’ufficio.

Il traduttore freelance interagisce essenzialmente con gli eventuali conviventi (genitori/partner/figli) che condividono i suoi spazi, oppure in modo virtuale.

In quanto freelance, può lavorare dove vuole e quando vuole.

Ma è proprio vero che il traduttore freelance è un lavoratore solitario che lavora fuori dai normali orari di lavoro?

Direi di no. Perché i clienti del traduttore seguono gli orari d’ufficio e il traduttore freelance deve essere reperibile in quegli orari per la corrispondenza con i clienti, le email, i preventivi, le consegne e quant’altro.

Certo, può lavorare anche alle 20:00 mentre in azienda la giornata si è conclusa, talvolta fino a tarda notte o a partire dal mattino presto. Da un lato si tratta di abitudini poco salutari se portate avanti a lungo termine, perché è importante staccare. Senza dubbio può capitare per gestire un’urgenza o diversi progetti contemporaneamente, ma deve restare un’eccezione. E d’altro canto come si fa a non seguire orari specifici per organizzare la propria giornata?

Trattandosi di una professione per cui l’organizzazione e l’autodisciplina sono essenziali, non ci si può alzare al mattino senza mettere in pratica un minimo di routine lavorativa.

Non esistono traduttori che lavorano improvvisando. Intendo i professionisti, quelli che fatturano e il cui reddito dipende dalla traduzione, non gli hobbisti o chi traduce occasionalmente per arrotondare.

Chi non ama lavorare da casa e preferisce “fare cose e vedere gente”, sceglie un coworking, cioè uno spazio condiviso dove incontrare altri professionisti.

Il traduttore solitario e solidale

In realtà, la traduzione è un’attività che poggia sulla solitudine del singolo e lo rende un essere solidale, partecipe della comunità, grazie al suo lavoro. Perché il traduttore rende possibile la comunicazione ostacolata dalle barriere linguistiche, diventando un traghettatore di messaggi e facilitando lo scambio tra più individui. Quindi è una professione che contribuisce in modo determinante alla collettività.

E poi c’è il networking, la creazione di una rete di contatti tramite incontri in carne e ossa e chat con gli altri traduttori, gli scambi su Skype, i momenti di formazione e di collaborazione fra traduttori, le videoconferenze con i clienti. E il traduttore che ha clienti nella zona fa loro visita e va a trovarli direttamente in azienda.

Insomma, non pensare al traduttore come a quel poveretto che traduce a lume di candela nel buio di una stanza nel cuore della notte. Non esiste. Il traduttore freelance è una parte attiva della comunità.

Come dico sempre: Traduco, ergo sumus. Traduco, dunque siamo.

Gli eroi tra cinema, Carnevale e realtà

Il 28 gennaio ci sarà la prima sfilata del Carnevale di Putignano, la principale attrazione turistica del mio paese, che quest’anno giunge alla 624^ edizione.
È il Carnevale più antico d’Europa dove spiccano i carri allegorici realizzati in cartapesta che mettono in evidenza la maestranza artigianale del paese.

Di solito i carri si ispirano alla politica e alla società, ma da qualche anno l’allegoria è accompagnata da una scelta tematica. Infatti ogni anno la Fondazione del Carnevale impone un tema comune per tutti i carri.
Mi è piaciuto molto il tema scelto nel 2016, la Diversità, ma anche quest’anno l’ispirazione è davvero stimolante. Il tema? Gli eroi!

Il mondo del cinema è letteralmente invaso dagli eroi. Tra Avengers, Justice League, X-Men e compagnia bella, la tendenza attuale è l’incontro/scontro tra gli eroi stessi in blockbuster che celebrano la coralità.
Non amo molto questi film, devo ammetterlo. Alcuni mi sono piaciuti diversi anni fa, ma ormai c’è una vera e propria saturazione di eroi e supereroi al cinema che mi ha stufato.

Chi è l’eroe?
In genere è un semidio che compie gesta leggendarie oppure un uomo dotato di virtù straordinarie e coraggio esemplare.
Dalla mitologia al cinema, l’eroe (o il supereroe) è una figura salvifica celebrata, ammirata e invocata dai comuni mortali.

Gli eroi del quotidiano

Ricordi le bellissime parole che Zia May rivolge a Peter Parker in Spider-Man 2 di Sam Raimi?

Io penso che ci sia un eroe in tutti noi… Che ci mantiene onesti, ci dà forza, ci rende nobili… E alla fine ci permette di morire con dignità. Anche se a volte dobbiamo mostrare carattere e rinunciare alla cosa che desideriamo di più. Anche ai nostri sogni.

Confesso che questa è la figura dell’eroe che preferisco. L’eroe a misura d’uomo, con le sue debolezze e i suoi difetti. Ma che è in grado di insegnarti qualcosa.

Senza dubbio c’è bisogno di eroi nel mondo in cui viviamo che va sempre più alla deriva. Eppure non occorre alzare lo sguardo al cielo. Basta guardarti intorno e probabilmente troverai quella figura che ti ispira a dare il meglio di te.

Per me ci sono due riferimenti essenziali: gli insegnanti (soprattutto alcuni dell’università) da cui ho appreso il valore dell’impegno, della disciplina e del merito, ma soprattutto i miei genitori.

Lo spirito di sacrificio, l’abnegazione, l’umiltà, l’amore per il lavoro, la responsabilità, la gratitudine: sono soltanto alcuni dei valori preziosi che mi hanno trasmesso i miei genitori. Sono loro i miei eroi che hanno contribuito a fare di me ciò che sono nel privato e nel lavoro.

Niente fama, niente gloria, bensì il semplice desiderio di fare del proprio meglio nella vita di ogni giorno: un sogno di grandezza nel tuo piccolo.

Dimmi un po’, chi sono i tuoi eroi? 🙂

Equilibrio e crescita: cosa insegna il fattore tempo

Il tempo è sottovalutato. E se c’è una cosa che ho imparato quest’anno è proprio questa: non si può dilatarlo all’infinito per inserire tutte le incombenze di cui devi occuparti, ma occorre fare delle scelte e metterle in pratica con responsabilità.

Lavorare il fine settimana o la sera: ma anche no.

Può capitare occasionalmente, ma non deve diventare una routine. L’ho imparato sulla mia pelle, quando a inizio anno ne ha risentito anche la salute psico-fisica: stress a non finire, lavoro ininterrotto per settimane, sere e weekend inclusi, senza mai riuscire a staccare, traduzione dopo traduzione.

Cosa ho imparato: Non trascurare la salute! L’equilibrio fisico è fondamentale tanto quanto quello mentale. Il riposo è essenziale. Dire di no lo è altrettanto. Perché il sovraccarico può compromettere la salute e tante altre cose. Allora ho detto basta alla collaborazione con alcuni clienti che non sembrano capire che il traduttore non è una macchina e che non può essere vigile e scattante e pronto ad accettare un progetto anche alle 22:00.

Non controllare la posta elettronica a qualsiasi ora.

Se sono sul Frecciargento di venerdì mattina perché sto andando a Roma, ho già segnalato la mia assenza ai clienti da diversi giorni. Quindi non devo pensare a potenziali incarichi che potrebbero giungere proprio in quelle ore.

Ed è successo, ovvio. Quante volte ti è capitato che, proprio quando comunichi di non essere disponibile in determinati giorni, i progetti fioccano come se non ci fosse un domani?

Non so spiegare questo paradosso, ma è reale. E se in passato era inevitabile dare una sbirciatina alla posta elettronica pensando “magari c’è un’urgenza o è una questione di minuti, che male c’è?”, oggi la penso in modo diverso. Perché dopo aver segnalato la mia assenza al cliente, mi aspetto che venga rispettata. Se mi propone comunque un progetto proprio in quelle ore o in quei giorni in cui sa che non sono disponibile, la percepisco come una mancanza di rispetto. Del resto al cliente non piacerebbe essere importunato per questioni di lavoro di domenica, durante una gita fuori porta con la famiglia, vero?

Cosa ho imparato: È meglio godermi il viaggio in treno o il giorno di riposo o la vacanza e non controllare le email. Se ho specificato che non sono disponibile il giorno X, non accetto incarichi. Punto. E leggo la posta elettronica quando torno operativa. È stato difficile, ma è un punto su cui ormai non transigo.

Produttività, equilibrio e Sheila

È difficilissimo dire di no quando sto lavorando a diversi progetti e si presentano altre proposte interessanti. Ma talvolta bisogna farlo, perché è praticamente impossibile gestire millemila traduzioni, consegne che si accavallano e avere anche il tempo di riposare gli occhi dal computer. Così do al cliente il nome di un traduttore che potrebbe occuparsi di quel progetto che devo rifiutare: in questo modo fornisco comunque una soluzione e ho la possibilità di fare una piccola gentilezza a un collega.

Cosa ho imparato: La qualità del proprio tempo deve essere valorizzata, perché esiste altro che richiede la tua attenzione oltre al lavoro: gli affetti, la famiglia, i tuoi interessi e passioni.

Sheila

Sheila

Da quando quest’anno Sheila è entrata nella mia vita, ho imparato a impiegare il mio tempo in modo più produttivo e consapevole. Se a un certo punto stacco per dedicarmi a lei, riesco a farlo perché porto a termine ciò che ho stabilito, senza lasciarmi distrarre da attività trascurabili e che rubavano il mio tempo.

Il principio è più o meno quello seguito da chi ha figli: la cura e la dedizione nei loro confronti non possono essere rimandati. Quindi non si può procrastinare, ma occorre riuscire a organizzare le proprie attività con disciplina e senza dimenticare che l’imprevisto è dietro l’angolo.

Così cerco ogni giorno di valorizzare ogni minuto di lavoro e di pausa, abbracciando l’idea che conciliare le parole equilibrio e crescita è possibile. Eccome se è possibile!