In occasione della Giornata della Memoria, vorrei invitarti a riflettere sul ruolo del traduttore nel conflitto: non solo come mediatore durante le trattative e i negoziati di pace, ma spesso come vittima.
Che si tratti di traduttori, interpreti, linguisti e mediatori, queste figure sono spesso vessate durante le guerre. E purtroppo si tratta di una realtà molto viva anche oggi nelle zone di conflitto.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, i traduttori e gli interpreti hanno svolto un ruolo fondamentale e di altissima responsabilità. Infatti l’interpretazione simultanea è nata proprio in occasione del Processo di Norimberga.
Ma perché durante un conflitto il traduttore o l’interprete è una vittima?
Purtroppo in molti casi trova la morte mentre svolge la sua professione in situazioni e contesti delicati. Tra le vittime nelle zone di conflitto ci sono anche gli interpreti e i traduttori.
Talvolta vengono sospettatati per la loro etnia che li accomuna al “nemico”, come accadeva agli interpreti giapponesi di cui spesso dubitavano gli americani durante la Seconda Guerra Mondiale.
L’imparzialità dell’interprete o del traduttore viene infatti messa in discussione soltanto perché condivide la stessa cultura e la stessa lingua dell’avversario. Le competenze effettive passano quasi in secondo piano.
L’interprete o il traduttore in questione deve innanzitutto fare i conti con la propria scissione identitaria: condivide il patrimonio linguistico e culturale con un gruppo cui non può essere fedele, perché per lavoro presta i suoi servizi allo schieramento opposto. E poi quest’ultimo magari non lo rispetta, lo teme o non si fida di lui. Eppure ha bisogno di lui, considerandolo un “male necessario” a prescindere dai suoi ideali.
In occasione della Giornata della Memoria, vorrei che riflettessimo su questo. Dobbiamo ricordare che durante le guerre il traduttore, l’interprete e il mediatore linguistico sono spesso oggetto di disprezzo e diffidenza da parte degli organi politici e militari. Sono vittime invisibili della guerra.